Giri frontali e disturbo post-traumatico da stress (PTSD)
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 13 marzo 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD),
con la sua grave e persistente sintomatologia, costituisce ancora un notevole
problema per la terapia psichiatrica, e dunque i progressi nella conoscenza di
ogni suo aspetto sono seguiti con interesse sia in ambito sperimentale che
clinico. Un fatto accertato e confermato anche dagli studi condotti dal nostro
presidente è che, a parità di stress, anche sperimentato nella stessa
circostanza, come accade per terremoti, tsunami, uragani, disastri aerei,
sciagure ferroviarie, atrocità di guerra e così via, solo una parte delle
persone sviluppa la sindrome. Anche se l’entità oggettiva dell’evento
traumatico è importante, come sostenuto da Lawrence Kolb quando il disturbo era
ancora definito reazione a un grosso stress, non è da sola sufficiente a
determinare il quadro caratteristico. Non si tratta di una semplice vulnerabilità,
perché si possono avere altri tipi di reazione molto gravi ma con manifestazioni
cliniche differenti; si tratta piuttosto di una specifica predisposizione a
quella costellazione di segni, molto probabilmente consistente in un endofenotipo identificabile.
Nel 1980, subito dopo l’inclusione della diagnosi di
PTSD nel DSM (III edizione) molti psichiatri americani sostennero la tesi dello
splitting, cioè che fosse più opportuno creare tante categorie
nosografiche per quanti traumi si conoscevano: sindrome del Vietnam, sindrome post-stupro,
sindrome da disastro aereo, sindrome abuso sessuale infantile, ecc., Nancy
Andreasen in seno all’APA ebbe un ruolo decisivo nell’opporsi alla
frammentazione del PTSD[1]. La
conservazione dell’unità diagnostica si è rivelata di estrema utilità per la
definizione di un profilo di risposta legato a una tipologia neurofunzionale e
per indagare il danno protratto o permanente causato al cervello dallo stress[2].
Avideh Gharehgazlou e colleghi hanno studiato la
girificazione della corteccia cerebrale mediante MRI di pazienti affetti da
PTSD e l’hanno posta in relazione con quella di volontari non affetti dal
disturbo e hanno verificato il rapporto fra la gravità della sindrome e i
reperti morfologici.
(Gharehgazlou A., et al. Cortical gyrification morphology in PTSD: A neurobiological risk factor for
severity? Neurobiology
of Stress 14, May
2021 – Epub ahead of print doi: 10.1016/j.ynstr.2021.100299, 2021).
La provenienza
degli autori è la seguente: Neuroscience & Mental Health, The Hospital for
Sick Children (SickKids), Research Institute, Toronto, Ontario (Canada); Institute
for Medical Science, Faculty of Medicine, University of Toronto, Toronto,
Ontario (Canada); Bloorview Research Institute, Holland Bloorview Kids
Rehabilitation Hospital, Toronto, Ontario (Canada); Operational Stress Injury
Clinic, St. Joseph’s Health Care, London, Ontario (Canada); Department of
Psychiatry and Behavioral Neurosciences McMaster University, Hamilton, Ontario
(Canada); Department of Psychiatry, Western University, London, Ontario (Canada);
Canadian Forces Health Services Group HQ, Department of National Defence,
Ottawa, Ontario (Canada); Department of Medical Imaging, University of Toronto,
Toronto, Ontario (Canada):
Un’introduzione sulle principali tappe dello studio
dei disturbi da stress può essere utile per comprendere, alla luce dell’importanza
del campo di studi, il rilievo che può assumere un’indagine morfologica sulla
corteccia cerebrale sia pure di portata limitata come quella del lavoro qui
recensito.
“È opportuno ricordare che le tappe
della ricerca sulle basi della risposta dell’organismo allo stress è parte integrante della storia
della fisiologia, e che le nozioni e i concetti fondamentali emersi da questi
studi costituiscono ancora la struttura portante della logica con la quale ci
rapportiamo a temi e problemi dell’equilibrio dinamico dell’organismo nel suo
ambiente.
Il fisiologo americano Walter Cannon introdusse
per la prima volta il concetto di stress
biologico in una trattazione scientifica nella seconda decade del Novecento,
per indicare l’azione di fattori, eventi o condizioni in grado di superare le
capacità dei meccanismi omeostatici,
rompendo l’equilibrio dinamico necessario, ad esempio, per conservare la temperatura
corporea e i livelli ematici di glucosio entro l’intervallo di valori
fisiologici[3]. Cannon
studiò la risposta dell’organismo allo stress,
quale reazione integrata ed aspecifica in condizioni di emergenza, e la
identificò con il processo alla base del comportamento animale istintivo noto
come fight or flight reaction[4],
descrivendo la redistribuzione del flusso ematico che avviene in questo stato:
la riduzione nei distretti cutaneo e splancnico, contrapposta all’aumento della
portata a cuore, cervello, organi di senso, polmoni e grandi muscoli, a supporto
dell’assetto fisiologico che consente all’animale di reagire efficacemente ad
una minaccia per la vita. Perrella nota, in proposito, come la comparsa nella
filogenesi del sistema nervoso “abbia consentito a singoli individui di una
specie di rispondere individualmente ed immediatamente ad una minaccia per
l’incolumità, scegliendo se eliminare l’origine
individuata con i sensi, attaccandola, o sottrarsi alla circostanza, fuggendo”[5].
Il fisiologo americano “rimuoveva la corteccia
cerebrale nel gatto e ne studiava le conseguenze in termini di fisiologia
sistemica e di comportamento dell’animale. In tali condizioni rilevò un aumento
delle reazioni di paura a situazioni potenzialmente minacciose, o semplicemente
nuove, accompagnate da attivazione adrenergica, con aumento della pressione
sanguigna, sudorazione, piloerezione ed aumentata secrezione di adrenalina
surrenalica. Definì questa reazione “sham rage” – di solito tradotta nei testi
di fisiologia italiani con “rabbia fittizia”, ma sarebbe più giusto definirla
“rabbia artificiale” in quanto conseguenza di asportazione della corteccia
cerebrale – e propose l’ipotesi che una serie di strutture poste sopra il
Mesencefalo fossero implicate nella genesi delle emozioni; in particolare
indicò l’Ipotalamo, il Talamo, l’Ippocampo ed il Giro del Cingolo”[6].
“Nel corso dei suoi esperimenti il fisiologo ebbe
anche modo di testare l’effetto di stimoli psichici in grado di evocare
risposte affettivo-emotive nell’animale. I risultati di questa ricerca gli
consentirono di dimostrare, per primo, che diverse condizioni agenti
direttamente sulla psiche dell’animale, senza il condizionamento del dolore
fisico, nel provocare rabbia o paura scatenavano un’identica reazione simpato-adreno-midollare.
Questa osservazione cruciale lo condusse alla formulazione di un principio,
purtroppo spesso trascurato nei decenni successivi[7]: “al pari
di una omeostasi organica esiste una omeostasi psichica la cui perturbazione
provoca le stesse modificazioni periferiche che si osservano quando l’organismo
viene sottoposto a stress di natura
fisica”[8].
Dieci anni dopo la pubblicazione della teoria di
Cannon, il neuroanatomista Papez ipotizza un’elaborazione in sequenza delle emozioni
da parte di un circuito con punto di partenza e di arrivo nell’ipotalamo, ed
esteso a tutte le strutture del lobo limbico, ossia il Circuito di Papez[9].
Sicuramente suggestiva, oggi questa ipotesi ci appare ingenua e infondata. In
quello stesso periodo, Kluver e Bucy stabilirono un rapporto tra memoria ed
emozioni asportando nelle scimmie parti estese del lobo temporale. Queste
scimmie sembravano prive di paura e risposte emozionali, ma non riconoscevano
più oggetti a loro familiari e perfino il cibo[10].
Nel decennio successivo, McLean, sintetizzando
gli studi di Papez e quelli di Kluver e Bucy, denominò cervello viscerale il rinencefalo
dei mammiferi inferiori; ma, soprattutto, introdusse l’amigdala, il setto e la corteccia prefrontale nella descrizione
sistematica del cervello emozionale, adottando nella fisiologia delle emozioni
la definizione di lobo limbico[11].
Il medico ungherese Hans Selye, considerato dai
ricercatori del suo tempo il massimo esperto di effetti dello stress sull’organismo, pubblicò i primi
risultati delle sue ricerche nel 1936 sulla rivista Nature: definì la risposta dell’intero organismo a fattori o
condizioni stressanti sindrome generale
di adattamento, sottolineando la partecipazione globale ad un assetto
fisiologico dal significato di difesa efficace ad adattare l’animale a
circostanze minacciose, estreme o traumatiche. In questa “sindrome” Selye distingue
una iniziale reazione di allarme da
una fase di resistenza successiva. Il
contributo più importante del ricercatore ungherese consiste nella scoperta dell’attivazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con la produzione di glucocorticoidi
(cortisolo nella specie umana) per azione dell’ACTH, a sua volta stimolato
dall’ipotalamo. Comprendendo le potenzialità patogene dell’attivazione
protratta di questa via neuroendocrina, inizialmente attivata a fini
adattativi, Selye considerò “malattie dell’adattamento” la maggior parte dei
disturbi psichici e psicosomatici.
È opportuno rilevare che “Selye conferisce al
termine stress un nuovo valore
semantico, definendolo come la somma di tutte le modificazioni indotte da ogni
impegno fisico o psicologico in grado di provocare la sindrome generale di
adattamento[12]. Quindi,
mentre Cannon identificava lo stress con
gli agenti stressanti (stressors),
per Selye lo stress era costituito
dalla risposta che questi inducono nell’organismo e, in ultima analisi, dalla
stessa sindrome di adattamento. In estrema sintesi, si può dire che a Cannon
dobbiamo la scoperta dell’attivazione del sistema simpato-adreno-midollare e a Selye quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene”[13].
Tutti gli studi successivi hanno preso le mosse
dalla base fisiologica individuata da Cannon e Selye.
La concezione attuale è stata così esposta in
sintesi: “Oggi definiamo lo stress come
uno stato di disarmonia o di alterata omeostasi che può essere provocato da
vari fattori di natura fisica e/o psichica (agenti stressanti o stressors) e al quale l’organismo
reagisce specificamente attivando una serie di meccanismi fisiologici di natura
neuroendocrina (sistema dello stress)
che innescano e/o modulano una serie di funzioni fisiche e comportamentali (risposte adattative), aventi lo scopo di
adattare l’organismo alla nuova condizione e di ripristinare l’omeostasi
iniziale”[14].
Fra i meccanismi di sistema ritenuti responsabili
della patogenesi dei sintomi del PTSD, quale esito patologico di stati
protratti di alterata omeostasi, vi è quello che implica l’intervento del locus coeruleus. In sintesi: eventi
stressanti o minacciosi, riconosciuti ed elaborati dalla corteccia cerebrale,
raggiungono l’amigdala, che può essere attivata anche da evocazioni o stimoli elaborati
inconsciamente; l’amigdala rilascia il CRH che attiva la produzione
simpatico-midollare di adrenalina e stimola l’asse ACTH-cortisolo, preparando
l’organismo alla fuga o all’attacco. Se lo stress
perdura o è molto intenso, il cortisolo attiva il locus coeruleus che, mediante la noradrenalina, stimola l’amigdala
a produrre CRH, innescando il circolo vizioso ritenuto responsabile della patogenesi[15].
Dopo aver ripercorso le tappe salienti della
ricerca sulla fisiologia della risposta allo stress, è interessante considerare, sia pure in estrema sintesi,
l’evoluzione della concezione in medicina e in psichiatria della patologia da stress.
Nel 1871, durante la guerra civile americana, Da
Costa descrisse in soldati esposti allo stress
del combattimento una sindrome caratterizzata da spossatezza, irritabilità,
costante stato di allerta, elevata frequenza cardiaca ed accentuazione
generalizzata delle risposte fisiologiche. Il medico americano studiò le
manifestazioni cardiovascolari, consistenti nell’aumento della forza di
contrazione cardiaca associato a tachiaritmie ed innalzamento della pressione
arteriosa, rendendosi conto dell’origine non cardiologica di questi segni[16]. Da Costa
definì questo quadro clinico soldier’s
irritable heart (cuore irritabile del soldato) e lo considerò parte di una
sindrome di attivazione dell’intero organismo, alla cui origine riconobbe lo
stato psichico determinato da paura e tensione estreme[17]. Si
tratta della prima formulazione nosografica di un disturbo da stress, denominato con l’eponimo Da Costa’s Syndrome[18].
Kraepelin, pioniere della nosografia
psichiatrica, descrisse una sindrome da trauma psichico con il nome di schreckneurose, reso in inglese con fright neurosis, letteralmente “nevrosi
da spavento”[19]. Freud,
la cui elaborazione teorica degli effetti delle esperienze traumatiche
esulerebbe dai limiti di questa sintesi, consultato nel 1915 circa il crescente
numero di vittime della tensione e dell’angoscia causate dall’esperienza della
Prima Guerra Mondiale, propose la diagnosi di Kriegneurose, ossia “nevrosi di guerra”, attribuendone la causa al
conflitto che si determina fra l’impulso di fuggire e il dovere di combattere.
Numerosi autori descrissero sintomi psichici causati dal trauma bellico,
prevalentemente espressi come disturbi della memoria ed interpretati su base
dissociativa: dimenticanza del proprio nome sul campo di battaglia, amnesia per
dati personali ed eventi gravi appena accaduti, fino a stati stuporosi con
amnesia globale. Accanto a tremori intrattabili ed ansia intensa, altri
psichiatri riportarono sintomi simili a quelli dell’isteria di conversione della nosografia dell’epoca, ossia paralisi
(pseudoparalisi), mutismo e cecità temporanee[20]. In assenza
di fattori eziologici cerebrali riconoscibili che giustificassero queste manifestazioni
cliniche, i fautori di una visione neurologistica conclusero che il cervello
subisse danni concussivi dalle esplosioni ravvicinate, e tali danni fossero
responsabili dei sintomi. Per questo tali sindromi furono denominate Shell Shock o Shock da bombardamento (to
shell = bombardare). Nello stesso periodo, Pierre Janet ipotizzò che
condizioni estreme o eventi traumatici fossero in grado di determinare una
scissione della coscienza tale che la vita mentale potesse avere due processi
paralleli operanti fianco a fianco, ciascuno dei quali poteva essere o meno
consapevole dell’altro. Lo psichiatra francese osservò pazienti che presentavano
sintomi quali vedere “come se fossero in un tunnel” o senza colore, che avevano
pause psichiche o si sentivano come se fossero in un sogno, ovvero
manifestazioni che oggi descriveremmo come dissociazione da stress[21]. Ricordiamo
che Janet fornì la prima teoria della dissociazione, secondo una patogenesi
perfettamente coerente con le più avanzate conoscenze di neurofisiologia
dell’epoca.
Lo studio delle nevrosi di guerra e dello Shell
Shock riconosce una causa acuta alle amnesie sul campo di battaglia, ma
analizza anche il perdurare dei sintomi, spesso considerato un effetto di
affaticamento del sistema nervoso. Infatti, Mott ed altri introducono la
categoria nosografica della Combat Fatigue o affaticamento
da combattimento[22].
Kardiner e Spiegel
(1930-38) interpretano i disturbi presentati a distanza di tempo dai veterani
della I Guerra Mondiale come il “perdurare della rottura delle funzioni
egoiche”[23] espresse
in una psiconevrosi, negando di fatto l’esistenza di patologia cronica da stress. Sargent e Slater (1941) studiano
le sindromi amnesiche da guerra; Torrie studia la patologia
psicosomatica da stress. Nel 1945 Grinkel e
Spiegel, che avevano introdotto la definizione di Combat Neuroses, pubblicano un volume che
rimarrà per decenni una pietra miliare nello studio degli effetti psicologici delle
esperienze ansiogene e degli eventi traumatici: Men Under Stress[24]. La
focalizzazione sull’eccesso di adrenalina all’origine di segni e sintomi porta
gli autori a suggerire nei casi più gravi la rimozione chirurgica delle
ghiandole surrenaliche.
La prima descrizione esaustiva di sindrome da stress cronico si
attribuisce ad Eitinger che, in uno studio condotto
dal 1948 al 1965 sui sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti,
definisce la Concentration Camp Syndrome[25].
Le difficoltà nello sviluppo di una nosografia di
riferimento per la diagnosi dei disturbi da stress
in assenza di precisi elementi di patogenesi dei sintomi sono riflesse nel
Manuale Diagnostico e Statistico dell’American
Psychiatric Association (DSM) che, nella prima
edizione del 1952, includeva la gross stress reaction
– probabilmente sotto l’influenza della casistica legata agli eventi bellici – mentre
nella seconda edizione del 1968 non riportava più questa diagnosi. Ma le
problematiche legate alla sintomatologia post-traumatica ritornarono di
attualità con lo studio dei reduci dalla guerra del Vietnam. Osservando questi
pazienti, Lawrence Kolb descrisse la startle response, consistente nel sussultare per comuni suoni e
rumori ambientali, e la attribuì agli elevati tassi di noradrenalina presenti
nei reduci afflitti da una sintomatologia cronica. In questo periodo sono state
elaborate le principali teorie dello stress:
la residual stress theory, la stress sensitization theory e la stress inoculation
theory.
Nel suo influente lavoro, Charles Figley (1978) sostenne che lo stress della guerra fosse in grado di determinare psicopatologia da
stress virtualmente in ogni persona
esposta, senza la necessità di una personalità premorbosa[26]. In
questa temperie psicopatologica, nel 1980 si introdusse nel DSM III il PTSD (Post Traumatic
Stress Disorder) quale disturbo indipendente nelle due varietà, acuto e cronico.
Nei primi anni la diagnosi era posta raramente,
anche per la definizione di trauma inclusa nel “Criterio A”: “Evento al di là
del normale spettro dell’esperienza umana”. Nelle versioni successive si
corregge questo limite: “Evento con minaccia per la vita od altro (evento)
significativo accompagnato da estrema paura, orrore o sconforto”[27].
Una parte considerevole delle conoscenze cliniche
ed epidemiologiche sul PTSD di cui oggi possiamo disporre si devono agli studi
di Richard Mollica, tra i fondatori nel 1981 dell’Harvard Program in Refugee Trauma, e dei
gruppi di psichiatri che fanno capo alla sua scuola. Fondamentale il contributo
derivato dallo studio nel più grande campo di rifugiati cambogiani nel 1988.
Nel 1994 fu introdotto, come parte del DSM IV, l’Acute Stress Disorder (ASD) che, a differenza
del PTSD, prevede una durata della sindrome inferiore a un mese.
Il riferimento nosografico ha facilitato lo
studio degli effetti sull’encefalo dello stato di attivazione da stress di lungo periodo nella nostra
specie, con il lavoro di Bremner e colleghi che ha
inaugurato un metodo basato sull’osservazione mediante risonanza magnetica
nucleare (RMN), divenuto poi un approccio standard. Il team dello psichiatra americano confrontò un gruppo di veterani
affetti da PTSD con un gruppo di controllo equivalente, rilevando che le
persone affette dal disturbo presentavano in media un volume dell’ippocampo di
destra inferiore dell’8%, con un deficit di memoria direttamente proporzionale
alla perdita di tessuto nervoso ippocampale. Lo studio, condotto nel 1995,
documentò per la prima volta un danno da stress
nel cervello umano”[28].
Lo studio morfologico mediante risonanza magnetica in questi ultimi vent’anni
ha cercato di stabilire se alcune differenze volumetriche – soprattutto quelle
dell’ippocampo e della corteccia cerebrale – fossero conseguenze del danno da stress
o fossero preesistenti, costituendo addirittura dei segni distintivi di una
predisposizione e, dunque, espressione dell’endofenotipo. Non si dispone ancora
di dati conclusivi, ma nella maggior parte degli studi in cui si è cercato di
determinare se vi fosse un volume minore prima dell’esposizione a stress cronico
si è avuta una conferma della riduzione volumetrica da stress[29].
Torniamo ora allo studio di Avideh
Gharehgazlou e colleghi.
La girificazione corticale costituisce, quale
specifica misura derivata dall’indagine morfologica strutturale mediante
risonanza magnetica nucleare (MNR o MRI, da magnetic
resonance imaging), un indice del ripiegamento
convoluto della struttura e dell’organizzazione in pattern dei giri e
dei solchi, e si pensa che faciliti localmente le connessioni funzionali dei
neuroni. La girificazione corticale si ritiene che possa fungere da
parametro per la stima di un fattore di rischio neurobiologico per lo sviluppo
di numerosi disturbi psichiatrici; tuttavia, fino ad oggi, non è stato compiuto
uno studio sistematico ed analitico di questo parametro morfologico corticale
in rapporto al disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
Avideh Gharehgazlou e colleghi hanno impiegato un indice di misura
locale del grado di sviluppo delle circonvoluzioni della corteccia cerebrale,
ossia il local Gyrification
Index (lGI), per indagare la morfologia a scopo
differenziale in adulti affetti da PTSD e volontari con caratteristiche corrispondenti
ma privi di malattie neurologiche e disturbi psichiatrici.
Per i motivi che abbiamo ricordato più sopra, i
soggetti per l’esperimento sono stati reclutati fra militari di sesso maschile,
costituenti un campione di 48 unità: 23 affetti da PTSD e diagnosticati secondo
i criteri internazionali correnti e 25 perfettamente sani, fungenti da gruppo
di controllo. Il protocollo prevedeva nel gruppo di pazienti PTSD, oltre la
definizione morfologica quantitativa e qualitativa della corteccia cerebrale, la
valutazione del rapporto fra dato dell’lGI e gravità
della sindrome seguente a un’esperienza di stress traumatica.
I modelli lineari generali hanno rilevato
significative differenze tra i due gruppi con un maggiore lGI
reperito nei cervelli dei pazienti affetti da PTSD in un blocco localizzato nel
lobo occipito-parietale mediale dell’emisfero sinistro
e ridotto lGI in un blocco localizzato sulla superficie
laterale del lobo parietale dell’emisfero destro.
L’analisi del rapporto cervello-comportamento all’interno
del gruppo affetto da PTSD ha evidenziato significative associazioni positive
tra lGI e gravità della sindrome PTSD in un blocco di
giri localizzato nella corteccia del lobo frontale dell’emisfero sinistro e
insiemi distribuiti, posti all’interno di tutti i lobi dell’emisfero destro.
Dopo aver considerato gli effetti dei sintomi
psichiatrici di disturbi concomitanti al PTSD, le associazioni dell’emisfero
destro si riducevano a blocchi localizzati esclusivamente nel lobo frontale,
mentre l’insieme dell’emisfero sinistro rimaneva significativo.
I risultati dello studio suggeriscono che la
girificazione corticale atipica nelle regioni parietale e occipitale possa
essere implicata nella psicopatologia del PTSD, impiegata nella diagnostica e
rapportata alla gravità delle manifestazioni cliniche della sindrome.
L’importanza di queste regioni per il PTSD può
essere attribuita al pre-esistente fattore di rischio
neurobiologico, o ad alterazioni neuro-morfologiche dopo il trauma,
precipitanti il disturbo psichiatrico emergente.
L’analisi del rapporto fra cervello e comportamento,
condotta dai ricercatori, fornisce supporto alle tesi derivate dagli studi precedenti,
evidenziando l’importanza del lobo frontale nella patogenesi del PTSD. Si
spera che si possano realizzare studi di vasta scala, che includano campioni
significativi di sesso femminile e che consentano di accertare con precisione
un nesso di causalità fra la girificazione atipica e lo sviluppo del PTSD.
L’autore della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura degli scritti di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-13 marzo 2021
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Nancy Andreasen, Posttraumatic stress disorder. In Kaplan
& Sadock (editors) Comprehensive textbook of psychiatry. Vol. IV,
pp.918-924, Williams & Wilkins, Baltimore 1985.
[2] G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD),
Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005.
[3] I cenni storici e le nozioni
sulla fisiologia dello stress esposti
da qui in avanti sono tratti da G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), Dipartimento di
Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005.
[4] Resa in italiano con “reazione di attacco o fuga”
(lett.: lotta o fuga).
[5] G. Perrella, op. cit., p. 4.
[6] G. Perrella, op. cit., p. 5. Cfr.
W. B. Cannon, The James-Lange theory of emotions: A critical reappraisal and an
alternative theory. American Journal of Psychology
39, 106-124, 1927.
[7] Mai completamente assimilato
nella cultura generale, questo principio consente di equiparare il malessere
soggettivo (illness) che accompagna le malattie
psicogene a quello della patologia ad etiologia organica.
[8] G. Perrella, op. cit., p. 6. La
citazione di Walter Cannon è ripresa da A. Calogero e M. C. Serra, Lo Stress, p. 12, Quaderni di Patologia Generale, Piccin, Padova 1999.
[9] J. W. Papez, A proposed mechanism of emotion. American Medical Association Archives of Neurology and Psychiatry
38,725-743, 1937.
[10] H. Kluver & P. C. Bucy, “Psychic blindness” and other symptoms
following bilateral temporal lobectomy in rhesus monkeys. American Journal of Psychiatry 119, 352-353, 1937. Cit. in G. Perrella, op. cit., p. 8.
[11] P. D. McLean, Psychosomatic disease and the visceral brain. Recent
developments bearing on the Papez Theory of Emotion. Psychosomatic Medicine 11, 338-353,
1949.
[12] Cfr. A. Calogero e M. C. Serra, op. cit.,
p. 13; H. Selye, The general adaptation syndrome and the diseases adaptation. Journal
of Clinical Endocrinology 6, 117-196, 1946.
[13] G. Perrella, op. cit., p. 11.
[14] G. Perrella, op. cit., p. 11. Si
descrivono una risposta centrale ed
una periferica. La centrale è caratterizzata dall’aumento
della vigilanza nello stato di veglia e dall’allerta, fino all’allarme vero e
proprio, con accentuazione dell’attenzione scopica,
perlustrativa ed esplorativa, associato ad incremento della capacità recettiva
con eretismo estesico; inoltre, si ha un
miglioramento della memoria impressiva. La risposta periferica include le modificazioni fisiologiche neurovegetative
che interessano i sistemi endocrino, respiratorio, cardio-circolatorio,
gastroenterico, tegumentale, con le azioni visceroeffettrici
ghiandolari, incluse quelle interessanti le ghiandole sudoripare (sudorazione adrenergica).
[15] Ricordato anche nella nostra
rubrica “Alfabeta” e citato in
numerose note, è riportato ne Il locus coeruleus rivisitato in “Note e Notizie” del 9 aprile 2016.
[16] Cfr. G. Perrella, op. cit., pp.
13-14.
[17] J. M. Da Costa, On irritable heart: A clinical study of a form of
functional cardiac disorder and its consequences. American Journal of Medical Science 161, 17-52, 1871.
[18]
J. D. Bremner, Does
Stress Damage The Brain?, p. 71, Norton, New York 2002.
[19] G. Perrella, op. cit., p.14.
[20] G. Perrella, op. cit., p.15.
[21] G. Perrella, op. cit., p.17.
[22]
F. W. Mott, War Neuroses and Shell Shock.
Oxford University Press, London 1919.
[23]
Cit. in Lawrence C. Kolb, Psichiatria Clinica, p. 704, Idelson,
Napoli 1979.
[24] Grinkel R. R.
& Spiegel J. P., Men Under Stress.
Blackiston, Philadelphia 1945.
[25] G. Perrella, op. cit., p.19.
[26] Charles Figley
cit. in G. Perrella, op. cit., p.26.
[27] G. Perrella, op. cit., p.28.
[28] Note e Notizie 15-09-18 Difetti
di circuito nel disturbo post-traumatico da stress.
[29] Per uno studio recente sulle
basi dei disturbi d’ansia, si veda: Note e Notizie 27-06-20 Scoperte sulle
basi delle reazioni ansiose.